Capitan Felice è una leggenda dell’arcipelago, come la sua barca. È il corsaro delle Eolie. Ne conosce i capricci del mare e i soffi del vento, conosce i segreti delle isole, gli approdi più ardui, i panorami più intimi. Si destreggia alla ruota del timone. S’infila nella caletta di Salina, l’isola dove sono state girate alcune scene de “Il postino” con Massimo Troisi. Raggiunge la baia di Saluzzo dove è possibile scorgere la città romana sommersa. Sosta davanti allo spettacolo della sciara di fuoco di Stromboli. È il padrone di tutto l’azzurro di Filicudi, l’isola dove è nato. Non c’è un nocchiero migliore per i turisti che lui maltratta ironicamente, gli parla in siciliano, gli urla di guardare e ammirare il paradiso che lui solo sa navigare con perizia. La sua barca ha il nome di illustri sovrani: “Sigismondo”. E una storia che racconta. “Questa è la barca che ha portato a Stromboli la troupe di Rossellini per il film con la Bergman. Era il 1948. Un viaggio avventuroso nell’arcipelago quando una sola nave raggiungeva le isole”.
“Minchia”, dice capitan Felice, il suo inevitabile intercalare quando parla, un torrente di parole, accompagnato da grandi gesti. “Sono nato a bordo di una nave, sono nato libero, per il mare, e ho fatto tutti i mestieri per diventare marinaio. Sono figlio di emigranti. I miei sono andati in Argentina dove mi stanno ancora aspettando. Ma io non posso allontanarmi da questo mare. È la mia vita e la mia libertà”. Aggiunge un altro intercalare rude e prosegue: “Sono nato a Filicudi che è uno scoglio, che quando c’è il mare grosso non la puoi avvicinare, deve venire l’elicottero se c’è una necessità urgente”.
Estate e inverno, sempre vestito allo stesso modo, d’inverno solo un ruvido maglione di lana blu e un paio di scarpe senza calze. “La giacca e la cravatta le ho messe una volta sola, davanti all’altare quando mi sono sposato. Perché io sono stato anche sposato, ho figli e sono diventato nonno”.
Sul continente non c’è mai andato. “Il continente non esiste. Sono nato a Filicudi ed è tutto quello che conosco, Filicudi e questo mare, e le altre isole. Il continente non mi interessa. Che cosa c’è sul continente? Niente che possa somigliare a questo. Io guardo a quelli che vengono dal continente e salgono sulla mia barca. Non li vedo felici. Io sono felice che è anche il mio nome, mai più appropriato. Noi delle isole siamo speciali. Capiamo le cose più in fretta degli altri perché ci svezzano subito, ci buttano in acqua e dicono: guarda che se vuoi sopravvivere devi imparare a nuotare: E poi ci dicono devi andare per mare, devi viaggiare, devi sapere approdare. Ma anche devi rispettare chi è diverso da te, devi accettare tutti. Questo lo può fare un isolano. Se nasci su un’isola, hai una visione della realtà diversa da chi sta sulla terraferma, sul continente”.
La felicità del corsaro delle Eolie è genuina. L’ha interrotta, negli ultimi tempi, la morte del bastardo bianco mesciato che l’accompagnava ovunque, che era di casa sul veliero, che era il beniamino dei turisti. “Era diventato vecchio. Si chiamava Skipper. Mi ha lasciato e non doveva farlo. Faceva parte della mia felicità. Era un tuffatore e un nuotatore speciale. Coi suoi tuffi dava spettacolo. Si lanciava dalla barca e i turisti lo applaudivano. Era allegro. Mi ha lasciato a quattordici anni. Senza Skipper la vita non è più la stessa. Ma bisogna continuare, andare, e anche il veliero ha bisogno di tutte le mie cure. Ma il veliero non mi parla, ha un cuore di legno. Skipper mi parlava coi suoi occhi buoni e ridenti, coi suoi tuffi, con la sua compagnia dolce, quando ci accoccolavamo a poppa a guardare le stelle, di notte. Aveva il respiro di un uomo, i sentimenti di un uomo”.